La parola sostenibilità accanto alla parola eco-villaggio apre scenari “green”. Immediatamente ci si immagina dei luoghi dove l’impatto dell’uomo sull’ambiente è minimo. L’autoproduzione soddisfa i bisogni fondamentali, l’utilizzo delle energie rinnovabili ci rende indipendenti dal mercato e il distacco dal mondo del lavoro “tradizionale” ci rende liberi da imposizioni esterne. Questo immaginario rende gli ecovillaggi dei posti estremamente invitanti per vivere, perfetti nella loro semplicità. Tutto ciò è realmente sostenibile?
La ricerca del benessere
I discorsi che ruotano attorno al tema “vivere in modo sostenibile”, come possibilità di prendere le distanze dai modelli sociali ed economici a forte impatto ambientale, mi hanno sempre attratta. Per esempio, sono rimasta colpita dalle analisi fatte attorno al PIL (Profotto Interno Lordo) che, nel tentativo di misurare la ricchezza economica di un Paese, “dimentica” o non analizza, il reale benessere della popolazione. Le analisi suggeriscono che, più si è economicamente ricchi più si dovrebbe essere benestanti, ovvero, alla lettera, “stare bene”. Qual’è il reale prezzo che si paga per la ricchezza economica? Ma davvero “ricchezza economica” equivale a “bene-essere”?
Le mie analisi non si addentrano oltre e rimando a chi, invece, lo fa di mestiere (p.es. Gilbert Rist Lo sviluppo: storia di una credenza occidentale) Mi rimane la curiosità e, anche, in questa esperienza di allontanamento dalla città, una riposta personalissima: davvero ricchezza economica equivale a benessere? No.
Durante il periodo peggiore di Covid, gli aiuti del governo ai lavoratori costretti all’inattività sono stati poca cosa per chi viveva nelle metropoli ma, almeno nel mio caso qui ai margini della città, sono stati sufficienti per coprire le spese. In quel periodo, in comunità ci siamo immaginati un futuro in cui ognuno potesse percepire un piccolo reddito costante. Si, stavamo semplicemente sognando. Le nostre domande erano: “Che cosa farebbero le persone? Vacanza perenne? Depressione da mancanza di stimoli? Incuria e degenerazione?” Tutto è possibile, magari in percentuali diverse. A me veniva da rispondere “molti più artisti”, in qualsiasi campo, per tutti coloro che hanno dovuto reprimere talenti poco remunerativi a favore di stipendi sicuri. Forse anche più ricercatori. Forse fiorirebbero progetti “dal basso” come margherite nel prato. Magari, nuovi contadini che tornano ad aree abbandonate. E sarebbero più felici le persone? Si, credo di sì.
Non abbiamo realmente bisogno di tante voci del vecchio, obsoleto, PIL.
Nuovi contadini, nuove pratiche
Gli ecovillaggi sembrano quei mondi dove la parola PIL è sconosciuta. Ma davvero possiamo dimenticarci, anche in questi luoghi, l’economia, il mercato e le sue dinamiche contraddittorie? Magari! Nemmeno queste realtà sono escluse dal “sistema mondo” più vasto, e ancora oggi lottano per essere giuridicamente riconosciute nella loro originalità mentre cercano di sostenersi.
Ecco: l’abilità di sostenersi.
L’immaginario legato agli ecovillaggi è, spesso, frutto del nostro bisogno di relazioni autentiche in luoghi autentici dove poter autenticamente vivere attraverso l’autosufficienza e uno stile di vita più sobrio. Fino a poco tempo fa, credevo che questo fosse “tutto” ciò che c’era da sapere e da desiderare. Oggi penso che sia ancora un discorso valido ma non sufficiente.
La realtà è che dipendiamo dall’economia del mercato, dai beni fossili, siamo soggetti alle tasse. L’autoproduzione non sempre basta per i nostri standard molto socievoli, né possiamo (o almeno, pochi ci riescono) basarci esclusivamente sulle energie rinnovabili. Non solo: siamo molto abituati ad essere sedotti dai beni voluttuari, dalla comodità dei nostri tempi, dove anche le distanze non sono ostacoli, né per le persone, né per le merci. Come possiamo, realmente, voltare le spalle a tutto quello a cui siamo abituati da sempre?
Qualcuno ci riesce. E per gli altri? Anche per chi vive in un ecovillaggio?
E’ una tensione costante. E’ cercare una sostenibilità anche per i propri desideri e, perché no, debolezze.
Non è perfezione ma la ricerca di un compromesso con la realtà quotidiana, con limiti non solo personali ma anche strutturali. E’ forse nello sforzo, sia individuale che comunitario, di un controllo sulle proprie scelte, che si trova il meglio di noi.
L’ambiente rurale aiuta: manca, per sua stessa natura, di richieste sociali dispendiose e inutili. E non solo questo…
Nuovi contadini, nuove pratiche
Io, che contadina non nasco, fui attratta dal testo di un antropologo olandese, Jan Douwe Van Der Ploeg I nuovi contadini: le campagne e la risposta alla globalizzazione.
In che senso “Nuovi contadini“? Cosa significa “Nuova ruralità“?
I contadini di Torri (compresi quelli di Torri Superiore) sorriderebbero all’ingenuità cittadina delle mie parole ma proprio perché in trasformazione da un modello, quello della città, a quello della campagna, posso accorgermi del passaggio.
Tornare alla terra, sia che significhi riprendere un’attività abbandonata o sperimentare tutto dall’inizio, è allenare il proprio corpo, darsi disciplina, imparare la resistenza. Questo lo leggevo anche sui miei libri. Ma l’ho capito realmente quando, trascinandomi dal sentiero degli orti verso casa, a fine giornata, continuavo a ripetermi “manca poco: è la terzultima…penultima…ultima (maledetta) salita!”
Tornare alla terra è imparare a chinare la schiena, a sopportare una fatica fisica sconosciuta, finché, piano, piano, diventa abitudine. Gesti calibrati con economia di energia. Ma come? Chi vive in città è uno scansafatiche? No. Sono richieste abilità diverse.
Sapersi destreggiare nel traffico urbano, calcolando attentamente tempi di percorrenza, di parcheggio, di coincidenza di autobus, sono competenze che richiedono un altro tipo di allenamento. Così come trovarsi preparato per il lavoro che si deve svolgere, la lezione che si deve seguire: abito impeccabile, neuroni sull’attenti come soldatini, per ore (…o quasi).
Dire addio a tutto questo? No. Siamo figli del nostro tempo. Tornare alla terra non cancella, per forza di cose, ciò che abbiamo imparato a fare e che ci piace fare, anche. Nulla toglie al nuovo contadino di occuparsi di marketing, di bilanci, di social media, di turismo, di letture e di studio. E’ anche necessario per una sostenibilità longeva, in questo mondo di oggi.
Un po’ come accade qui a Torri. Un po’ come sta accadendo in molte parti del mondo. Anzi, credo che questo continuo passaggio, dai campi alla tastiera di un pc, permetta di riflettere su entrambi gli aspetti…si coltivano pensieri mentre si zappa, si pianifica il lavoro della prossima stagione mentre si scrive. Un intreccio di azioni che il neo-rurale, il nuovo contadino, l’artigiano impara a fare sue.
In questa “società liquida” già tendente alla gassosità di particelle iper individualistiche, tornare alla terra, alle cose concrete, allo sporco del fango, del sudore, alla fatica che ci impone il corpo umano è anche saper prendere la misura delle cose, delle persone e stare al mondo per come è.
Kim lo diceva splendidamente…
Le cose che un istante prima erano passate inavvertite sui globi dei suoi occhi, assumevano adesso proporzioni e significato. Le strade erano fatte per camminarci sopra, le case per viverci dentro, il bestiame per essere pascolato, i campi per essere arati, gli uomini e le donne per parlarci insieme...né più, né meno.
Rudyard Kipling
E' questa la sostenibilità?
Quando pensiamo all’ecovillaggio come un luogo immerso nella natura, un luogo da ammirare e di cui godere l’armonioso equilibrio, stiamo immaginando qualcosa che è esteticamente puro ma non reale, né sostenibile.
La nostra sopravvivenza come esseri umani ci impone un investimento. Se siamo bravi, realmente rispettosi della natura, una contrattazione alla pari. Mi guadagno ciò che puoi offrirmi, Natura.
Ciò che ammiro della ruvidezza di queste terre liguri, io che vengo dalla “facile” pianura, è che tutto è conquista laboriosa, caparbia. Qui i trattori non possono arrivare, la raccolta è fatta a mano, nessuna previdenza contro le cattive annate…il contadino fallisce già in partenza, perché non può competere con il mercato, i suoi prezzi, le sue assicurazioni, la burocrazia priva del buon senso.
Ma il nuovo contadino che ritorna a queste terre bellissime e difficili, va contro la logica dell’utile, per continuare la sua tenace partita con la Natura. Finalmente, alla pari.
Questa, anche, è sostenibilità.
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